Di Julia Margaret Cameron, Diane Arbus e l’AI
Julia Margaret Cameron
Quando Julia Margaret Cameron ricevette la sua prima macchina fotografica nel 1863, non immaginava che i suoi ritratti sfocati e intensi avrebbero aperto la strada a un’arte capace di catturare l’anima più che il volto.

Diane Arbus
Un secolo dopo, Diane Arbus puntava il suo obiettivo su persone ai margini della società, creando ritratti che ci sfidano ancora oggi a guardare oltre le apparenze.

Nelle loro fotografie troviamo l’imperfezione dello scatto, che restituisce la sensazione di autenticità, il saper raccontare una storia in un’unica immagine e l’emozione. Di chi scatta, di chi è ritratto.
Sintografie
Oggi possiamo realizzare “fotografie”, sintografie pare sia il termine più aderente, apparentemente perfette con l’AI.
Sono immagini che mancano però di elementi essenziali: non nascono da un incontro reale, né da un’esperienza vissuta. Non fissano un momento nella memoria perché quel momento non c’è mai stato.
E non contengono l’emozione di ciò che è ritratto perché ciò che è ritratto non esiste.
La connessione
Se vogliamo dunque che le immagini sintetiche trasmettano almeno alcune delle emozioni presenti in quelle fotografiche, dobbiamo ricostruirla, l’emozione.
Usando la luce, la composizione, l’inquadratura, i colori.
Serve studiare. Oppure saper trasferire nelle immagini sintetiche le proprie competenze fotografiche.
Non si scappa, non si improvvisa.
A meno che non ci si accontenti di un risultato mediocre, non esclusivo e fine solo a sé stesso e al compiacimento di chi l’ha creato.
E, in ogni caso, ci sono ambiti in cui nessuna AI può sostituirsi alla fotografia.
E sono quelli in cui il soggetto ritratto è l’empatia.

