Racconto d’autunno

Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi

Racconto d’autunno

Di Tommaso Landolfi

Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi

Racconto d’autunno“, scritto nel 1946, è un breve romanzo dallo stile gotico-romantico che non risparmia al lettore scene di crudeltà e di tensione accuratamente bilanciate da atti di grande umanità. Un racconto per certi versi agghiacciante ma fortemente introspettivo nel quale Landolfi, seguendo il percorso del protagonista, un soldato fuggitivo alla ricerca di un riparo, ci porta dalla cima di una montagna sino al fondo di una misteriosa segreta, dalla valutazione per apparenza a quella per esperienza, dall’esterno all’interno, dalla sostanza all’essenza.

L’autore infatti scava nell’animo, per primo il suo, provando a mettere in dramma sia reazioni che speranze legate alla perdita di un amore viscerale, fondamentale e insano. Vitale. Parla della brevità di un attimo in cui un destino si compie ma parla anche di quei “per sempre” che desiderano imporsi sul corpo, sfidando il tempo e la logica. Parla di Dio e di magia profana, di inganno e di libertà, di come si possa sopportare praticamente ogni cosa se l’unica realtà che si conosce è quella in cui si vive.

Scrive Carlo Bo nella prefazione:
“Quel poco o molto che c’è di rituale nel suo esercizio letterario ha la funzione di proteggere una verità che si confonde con la disperazione”.

Per tutto il romanzo mi è sembrato di sentire nell’aria quell’odore di passato che si respira negli antichi castelli dove ci sono tanti arazzi datati, tappeti sbiaditi ed enormi dipinti a olio con vecchi regnanti e scene di caccia. Dove ci sono ritratti grandi come quello di Lucia, che hanno incantato e mosso all’azione il protagonista curioso. E anche il ricco linguaggio dell’autore, con vocaboli e costruzioni a cui non siamo più abituati, così ricercato e puntuale (mi ha fatto venire in mente alcune immense lavorazioni all’uncinetto, realizzate con quel filo sottilissimo che si usava tempo addietro, torto e ritorto nel silenzio paziente della penombra) ha contribuito a farmi immergere completamente in quell’atmosfera di mistero e timoroso fascino tipici dei grandi manieri d’un tempo, con le loro numerose stanze, i corridoi nascosti e i segreti indicibili.
“A Landolfi è riuscita un’impresa che possiamo ben dire unica ai nostri tempi: non fa parte di nessuna istituzione […], è un solitario, uno che vive davvero in un’isola e ogni tanto affida al mare dei piccoli messaggi sotto forma di divertimento, fra l’irrisione e la disperazione ma sempre con un intento ben preciso, proteggere la propria libertà, in modo da consumare fino in fondo la propria desolazione.”
Consigliato: sì

Descrizione

Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi “Cassandra, ti ricordi di quando eravamo piccole? Tu eri bravissima a ricamare e a disegnare. E poi eri sempre a tuo agio in quegli scomodi vestiti da dama che ci facevano mettere ai balli. Io ero negata in tutto. Ero la disperazione di nostra madre. Ma quando papà mi diede le chiavi della sua biblioteca il mio cuore si riempì di gioia. In mezzo a tutti quei libri! Non vedevo l’ora di leggerli tutti! In essi finalmente trovai la libertà.
Con loro potevo essere in ogni luogo e in ogni tempo.” Jane Austen, ormai prossima alla morte a soli 42 anni, ripercorre la propria giovinezza scrivendo una lunga lettera alla sorella Cassandra. Ricorda la sua infanzia di bambina cresciuta in mezzo ai libri, poco incline alle maniere consoni alle dame dell’epoca, ma incredibilmente dotata come narratrice. La scrittura e i libri sono tutta la sua vita, pari forse solo all’amore per il giovane Tom Lefroy.

Scheda del libro

Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi Genere: Narrativa moderna e contemporanea
Editore: Adelphi
Collana: Gli Adelphi
Data uscita: 15/05/2013
Pagine: 132
ISBN: 9788845928062


Recensione del romanzo “Racconto d’autunno” di Tommaso Landolfi. 13.08.2019.

Recensione: Lolita

Lolita

Di Vladimir Nabokov

Questa non sarà una vera e propria “recensione” del libro, mi sento veramente piccola e inadeguata davanti a uno scritto di tale portata (quindi sì, mi è piaciuto e non lo scorderò mai più) di cui mezzo mondo di lettori ha già parlato e l’altra lo farà quasi certamente, in un modo o nell’altro. Né tantomeno parlerò dello stile di scrittura dell’autore perché mi verrebbe solo da dire una banalissima cosa tipo: “superlativo Nabokov” che credo sia utile quanto un segnalibro d’acqua. E poco utile è anche sottolineare quanto sia stato inoltre capace di caratterizzare i personaggi principali, vividi davanti agli occhi sin dall’inizio, da quel famoso incipit, un pennello che inizia a dipingere.

Quello che appunto qui è un preciso pensiero, al di là di tutti i discorsi che si possono imbastire circa la colpevolezza vera o supposta del protagonista, ad ogni modo mai giustificata, e di una possibile, ingenua, complicità di Lolita: il libro non parla d’amore, come ho letto in alcune recensioni, come ho dedotto da taluni commenti. Chi in questo libro trova una spiegazione, una declinazione, una versione di amore, non incontra il mio consenso né la mia comprensione. Ci ho provato, ci ho pensato ma no. Non c’è proprio nulla che si possa ricondurre a quello, all’amore che alle nostre latitudini consideriamo tale nell’accezione più quotidiana del termine.

Il libro parla invece di manipolazione, parla di un’ossesione, questo sì. L’ossessione di un adulto poco maturo e, per sua stessa ammissione, disturbato. Un adulto di quarant’anni che con decisioni studiate, pianificate, crea situazioni comode per il soddisfacimento del suo personale piacere senza pensare mai al bene ultimo della persona “amata”. Persona che, priva della stessa esperienza di vita (anni), non è in grado di reagire in modo adeguato poiché priva altresì di risposte efficaci a specifiche situazioni, che ancora deve sperimentare.

Per questo non è amore e non ci sono dietrologie che tengano.
Non è uno scambio, non è un confronto, non è una crescita reciproca. Non c’è niente di tutto questo.

Ho letto il libro mentre mia figlia ha dodici anni (l’età di Lolita) quindi sicuramente, almeno all’inizio e in una particolare scena, sono stata influenzata da questa coincidenza ma ad ogni buon modo mi sento dire in tutta tranquillità che Lolita mi è piaciuto, mi è piaciuto molto. La capacità di Nabokov di reggersi in equlibrio su un filo così teso è sorprendente, incredibilmente sconcertante. E questo suppongo fosse proprio uno dei suoi obiettivi come, in chiusura del libro, nella parte dedicata all’approfondimento del suo scritto, lui stesso dice:

“Ci sono anime miti che giudicherebbero ‘Lolita’ insignificante perché non insegna loro nulla. Io non sono né un lettore né uno scrittore di narrativa didattica, e […] ‘Lolita’ non si porta dietro nessuna morale. Per me un’opera di narrativa esiste solo se mi procura quella che chiamerò francamente voluttà estetica, cioè il senso di essere in contatto, in qualche modo, in qualche luogo, con altri stati dell’essere dove l’arte […] è la norma. Non ce ne sono molti, di libri così”.

E aveva ragione.

Consigliato: sì

Descrizione

“Dopo trentasei anni rileggo Lolita di Vladimir Nabokov, che ora Adelphi ripresenta… Trentasei anni sono moltissimi per un libro. Ma Lolita ha, come allora, un’abbagliante grandezza. Che respiro. Che forza romanzesca. Che potere verbale. Che scintillante alterigia. Che gioco sovrano. Come accade sempre ai grandi libri, Lolita si è spostato nel mio ricordo. Non mi ero accorto che possedesse una così straordinaria suggestione mitica”.
(Pietro Citati)

Scheda del libro

Genere: Classici
Editore: Adelphi
Collana: Gli Adelphi
Data uscita: 30/10/1996
Pagine: 400
ISBN: 9788845912542


Recensione del romanzo “Lolita” di Vladimir Nabokov. 07.08.2019.

Recensione: Finale di partita

Finale di partita di Samuel Beckett, Einaudi

Finale di partita

Di Samuel Beckett

Parte in profondità già con il titolo, Samuel Beckett, in questo dramma: il “finale di partita” è infatti l’ultima fase di una partita a scacchi che, a parità di bravura dei partecipanti, è normalmente divisa in tre fasi. Nell’ultima restano pochi pezzi sulla scacchiera e, dell’incontro, si preannuncia la fine.

Finale di partita di Samuel Beckett, EinaudiLa fine. Già.

Come quella che circonda i personaggi del dramma, superstiti in un mondo ormai distrutto da chissà quale catastrofe.

Sono Hamm, Clov, Hagg e Nell. Hamm è cieco e non cammina, Clov ci vede e cammina ma non può piegare le gambe, Hagg e Nell le gambe non le hanno proprio e vivono dentro due bidoni della spazzatura. Immagino non per scelta.

Scelta che, in ogni caso, pare nessuno di loro abbia.

Che cosa vuol dire esistere?
Qual è la nostra responsabilità nei confronti di tutto questo?
E che cos’è tutto questo?

Così arrancano, giorno dopo giorno i protagonisti, ponendosi queste domande, cercando la vita nell’immobilità che li circonda e al contempo ignorandola nella quotidianità che li sostiene.

Un dramma carico di quel cinismo, dissacrante ironia, precarietà e introspezione tipici del “teatro dell’assurdo”, come fu definito da Martin Esslin. I concetti sono sostenuti dalla scenografia post-apocalittica, minimale e imponente al tempo stesso; i dialoghi sono frammentati, sospesi, gettati in toni gravi e subito resi acuti a catturare l’attenzione del lettore, dello spettatore, per poi trascinarlo nell’intimità del protagonista e restituirlo subito dopo ai suoi pensieri.

“Io mi domando. (Pausa). Un’intelligenza tornata sulla Terra non sarebbe tentata di Immaginarsi delle cose, a forza di osservarci? […] E senza arrivare a tanto, noi stessi… (con emozione)… noi stessi… a tratti… (Veemente) E dire che tutto questo non sarà forse stato invano!”

Finale di partita di Samuel Beckett


Rating

/ 5


L’autore

Samuel BeckettSamuel Beckett nasce a Dublino nel 1906. Dopo essersi laureato al Trinity College, viaggia alcuni anni per l’Europa. A Parigi conosce il suo connazionale James Joyce, col quale instaura un profondo rapporto di amicizia e di comuni sperimentazioni letterarie. Tra le sue prime opere, scritte in inglese, spicca il romanzo Murphy. Nel 1938 si trasferisce definitivamente in Francia e partecipa alla resistenza antinazista. Dalla fine della guerra adotta il francese come lingua d’elezione e in francese scrive la sua grande trilogia narrativa: Molloy (1951), Malone muore (1951) e L’innominabile (1953). Il successo arriva soprattutto con i testi teatrali: Aspettando Godot (1952), Finale di partita (1957), L’ultimo nastro di Krapp (1957), Giorni felici (1961). Nel 1969 riceve il premio Nobel. Muore a Parigi nel 1989. L’Einaudi ha pubblicato tutte le opere di Beckett. Tra le edizioni più recenti, i romanzi MurphyWatt e MolloyTutto il teatroLe poesieIn nessun modo ancoraRacconti e prose brevi e Malone muore.

Fonte: Feltrinelli


Scheda del libro

Finale di partita di Samuel Beckett, EinaudiGenere: Teatro
Editore: Einaudi
Collana: Collezione di teatro
Data uscita: 01/01/1997
ISBN: 9788806116880

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Dettagli

Genere: Teatro
Editore: Einaudi
Collana: Collezione di teatro
Data uscita: 01/01/1997
ISBN: 9788806116880

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Recensione del testo teatrale “Finale di partita” di Samuel Beckett, Einaudi. 29.09.2018.




Recensione: La banconota da un milione di sterline

La banconota da un milione di sterline di Mark Twain

La banconota da un milione di sterline

Di Mark Twain

Questo breve, bellissimo, volumetto edito da AbEditore contiene due racconti di Mark Twain: “La banconota da un milione di sterline” e “Il mio orologio”. Il tutto in poco più di settanta piccole e curatissime pagine.

La banconota da un milione di sterline di Mark Twain

Nel primo racconto, “La banconota da un milione di sterline”, Henry, un giovane uomo d’affari, è vittima di un naufragio. Salvato in mare da un brigantino si ritrova nella Londra vittoriana senza nulla tranne se stesso e i laceri vestiti che indossa. Ma un fatto singolare, la scommessa di due ricchi signori, metterà alla prova sia lui che la società che lo circonda, premiando l’arguzia e punendo l’avarizia.

Una critica alla società materialista per nulla velata, racchiusa in una storia divertente, tenera e surreale.

Il mio orologio” è invece uno spassoso racconto di un orologio perfetto che, per via di un’azione maldestra del proprietario, impazzisce. Viene così controllato, ma non riparato, da molteplici personaggi del settore tutt’altro che competenti. Esausto, il proprietario, riserverà all’ultimo di questi una fine tutt’altro che lieta.

Quattro stelline su cinque, a tutto tondo: sia per il contenuto esilarante ed immortale che per la cura dedicata a questo gioiellino d’editoria.


Rating

/ 5


L’autore

Samuel Langhorne Clemens (Florida, Missouri, 1835 – Redding, Connecticut, 1910) si affermò come giornalista con lo pseudonimo di Mark Twain. Trascorse gran parte della sua vita in viaggio come inviato e conferenziere. L’esordio letterario risale al racconto La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras, nel 1865. Tra le altre opere ricordiamo Le avventure di Tom Sawyer, Il principe e il povero, Le avventure di Huckleberry Finn, Un americano alla corte di Re Artù, Wilson lo zuccone. Feltrinelli ne ha pubblicato nei “Classici” il romanzo postumo 3000 anni fra i microbi (1996), Il diario di Eva (2006) e Le avventure di Huckleberry Finn (2013).

Fonte: Feltrinelli


Scheda del libro

La banconota da un milione di sterline di Mark TwainGenere: Narrativa classica
Editore: ABEditore
Collana: Piccoli Mondi
Data uscita: 01/01/2016
Pagine: 86
ISBN: 9788865512166
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La banconota da un milione di sterline di Mark Twain


Dettagli

Genere: Narrativa classica
Editore: ABEditore
Collana: Piccoli Mondi
Data uscita: 01/01/2016
Pagine: 86
ISBN: 9788865512166
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La banconota da un milione di sterline di Mark Twain


Recensione dei racconti “La banconota da un milione di sterline” e “Il mio orologio” di Mark Twain, ABEditore. 12.09.2018.




Recensione: Uomini e topi

Uomini e topi

di John Steinbeck

Uomini e topi di John SteinbeckJohn Steinbeck scrive un breve romanzo malinconico, impeccabile nello stile e nella capacità evocativa di luoghi e profumi; il tempo di leggere poche pagine e si è subito immersi nei territori e nelle ingiustizie americane della California degli anni ’30.

Sogno, è il fil-rouge che tiene uniti i due protagonisti, Lennie e George, e tutti i personaggi, ognuno di loro ben caratterizzato, tutti importanti, nessuno superfluo. In questi paesaggi polverosi, i lavoratori passano i giorni alla mercé di padroni arroganti, raccontandosi la speranza di un futuro che pare non possa arrivare mai.
A pagare per primi, come sempre, i più deboli, i diversi, in un epilogo che lascia senza parole.

Il titolo originale “Of Mice and Men” è derivato da un verso di una poesia dello scrittore scozzese settecentesco Robert Burns, “To A Mouse, On Turning Her Up In Her Nest With The Plough” del 1785:

Wee, sleekit, cow’rin, tim’rous beastie,
O, what a panic’s in thy breastie!
Thou need na start awa sae hasty,
Wi’ bickering brattle!
I wad be laith to rin an’ chase thee,
Wi’ murd’ring pattle!

I’m truly sorry man’s dominion,
Has broken nature’s social union,
An’ justifies that ill opinion,
Which makes thee startle
At me, thy poor, earth-born companion,
An’ fellow-mortal!

I doubt na, whiles, but thou may thieve;
What then? poor beastie, thou maun live!
A daimen icker in a thrave
‘S a sma’ request;
I’ll get a blessin wi’ the lave,
An’ never miss’t!

Thy wee bit housie, too, in ruin!
It’s silly wa’s the win’s are strewin!
An’ naething, now, to big a new ane,
O’ foggage green!
An’ bleak December’s winds ensuin,
Baith snell an’ keen!

Thou saw the fields laid bare an’ waste,
An’ weary winter comin fast,
An’ cozie here, beneath the blast,
Thou thought to dwell-
Till crash! the cruel coulter past
Out thro’ thy cell.

That wee bit heap o’ leaves an’ stibble,
Has cost thee mony a weary nibble!
Now thou’s turn’d out, for a’ thy trouble,
But house or hald,
To thole the winter’s sleety dribble,
An’ cranreuch cauld!

But, Mousie, thou art no thy lane,
In proving foresight may be vain;
The best-laid schemes o’ mice an ‘men
Gang aft agley,
An’lea’e us nought but grief an’ pain,
For promis’d joy!

Still thou art blest, compar’d wi’ me
The present only toucheth thee:
But, Och! I backward cast my e’e.
On prospects drear!
An’ forward, tho’ I canna see,
I guess an’ fear!


Descrizione

Pensato per un pubblico che non sapeva né leggere né scrivere (i braccianti della California) questo capolavoro della letteratura internazionale, scritto nel 1937, è un breve romanzo scorrevole e ricco di dialoghi. Nelle intenzioni di Steinbeck avrebbe dovuto essere adattato, come difatti avvenne, per il teatro e per il cinema. I protagonisti sono due lavoratori stagionali di un ranch: George Milton e l’inseparabile Lennie Little, un gigante con il cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli uomini sospingono verso una fine straziante. Il ritratto di un’America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella drammatica rappresentazione di un maestro della letteratura.


John SteinbeckL’autore

John Ernst Steinbeck, Jr. nacque a Salinas (California) il 27 febbraio 1902 e morì a New York il 20 dicembre del 1968. È stato uno scrittore statunitense tra i più noti del XX secolo, autore di numerosi romanzi, racconti e novelle. Nel 1962 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura.


Dettagli

Genere: Narrativa classica
Editore: Bompiani
Data uscita: 1947
Pagine: 203






Recensione del libro “Uomini e topi”, di John Steinbeck (traduzione Cesare Pavese), 24.03.2018.

Recensione: La bella Cassandra

La bella Cassandra

di Jane Austen

La bella Cassandra di Jane AustenChe Jane Austen avesse un delizioso senso dell’umorismo è chiaro a chiunque abbia letto almeno una sua opera ma in questo volumetto, che raccoglie storie e bozze scritte tra il 1787 e il 1793 per deliziare la propria famiglia e ridere delle convenzioni dell’epoca, si coglie davvero tutta l’ironia di cui era capace. Una piccola perla da recuperare assolutamente per gli amanti della Austen da leggere in una pausa che lascia il sorriso sulle labbra.


Rating

/ 5


Descrizione

“La bella Cassandra” (1788), che per ironia condivide il nome con la maggiore delle sorelle Austen, è una giovane donna che si lancia nel mondo per fare fortuna e la cui storia, convenzionale fino al parossismo, si trasforma in una parodia dei romanzi sentimentali e gotici molto apprezzati all’epoca.


Jane AustenL’autrice

Jane Austen, figlia di George Austen e di Cassandra Leigh, nacque a Steventon (a sud dell’Inghilterra) nel 1775 e morì a Winchester, per malattia, nel luglio del 1817, a soli 42 anni.
Penultima di otto figli, sei maschi e due femmine, Jane non lasciò mai la sua famiglia e morì nubile come la sorella Cassandra, alla quale era molto legata e che, dopo la sua morte, assieme ai suoi fratelli, distrusse gran parte delle lettere e delle carte private che le erano appartenute.


Dettagli

Genere: Narrativa classica
Editore: Garzanti
Collana: I grandi libri
Data uscita: 26/07/2017
Pagine: 96
ISBN: 9788811811497
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Recensione de “La bella Cassandra”, di Jane Austen, 28.01.2018

Recensione: Ventiquattr’ore nella vita di una donna

Ventiquattr’ore nella vita di una donna

di Stefan Zweig

Ventiquattr'ore nella vita di una donna di Stefan ZweigSino a che punto ci si può spingere per seguire una persona sconosciuta, la propria e l’altrui follia mettendo in discussione valori, affetti e morale?
In “Ventiquattr’ore nella vita di una donna” Zweig ci trascina in un vortice di sentimenti, di imprevisti, atti coraggiosi e immense umane debolezze che cambieranno per sempre la vita della protagonista. Perché si può programmare anche la più spettacolare delle giornate ma non si può programmare l’istinto.


Rating


Sinossi

Primi anni Venti. Uno scandalo sconvolge la sonnolenta vita di un lussuoso hotel della Costa Azzurra: Madame Henriette, moglie e madre irreprensibile, fugge nottetempo con un giovane bellimbusto francese appena conosciuto. Subito, la tresca infiamma il pettegolezzo tra i villeggianti: unico a prendere le difese della donna è il narratore-protagonista. Colpita dall’accaduto, Mrs. C., una distinta gentildonna inglese, decide di confessare proprio a lui il suo più intimo e scandaloso segreto: il racconto delle ventiquattr’ore che trent’anni prima cambiarono per sempre la sua vita.


Stefan ZweigL’autore

Stefan Zweig, morto suicida in Brasile all’età di 61 anni, nacque nel 1881 a Vienna e fu scrittore, giornalista, biografo, e drammaturgo.


Citazioni

L’uomo in genere ha poca fantasia. Ciò che non lo interessa direttamente, che non arriva con insistente pungolo a penetrare fino ai suoi sensi, difficilmente lo smuove.

Solo individui freddi, molto equilibrati, hanno simili momenti, in cui la passione erompe subitanea come una valanga, terribile come un uragano: in quei momenti, anni interi di forze inutilizzate precipitano e si inabissano nelle profondità dell’animo


Dettagli

Genere: Narrativa classica
Editore: Garzanti
Collana: I grandi libri
Data uscita: 03/07/2014
Pagine: 85
ISBN: 9788811810698
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Recensione di “Ventiquattr’ore nella vita di una donna”, di Stefan Zweig, 27.01.2018